domenica 28 agosto 2011

Memoria olfattiva.


Caldo. Il profumo del pomodoro fresco che cuoce mi riporta agli ultimi giorni di un’estate ormai remota, giorni ferventi di preparativi, giorni in cui l’olfatto, la vista, il gusto vivevano momenti di gloria e la tua vita di bambino appariva perfetta e inattaccabile … ‘perfetta’ e ‘inattaccabile’!

Tutti presenti, nessuno escluso, i compiti venivano suddivisi secondo priorità gerarchiche, diciamo generazionali, perciò, se eri l’ultimo arrivato, potevi lavare le bottiglie e infilarci dentro un ciuffo di basilico, mai più di tre foglie. Amavo lavare le bottiglie! Lo scorrere dell’acqua fresca senza tregua, il riflesso di quei vetri, alcuni nuovi, altri già utilizzati e riutilizzati chissà quante volte, le bottiglie marroni dell’aranciata Fanta, col collo da giraffa plissettato, le bottiglie della Coca-Cola, le più spesse, le più forti . Ci infilavi dentro lo spazzolino e il sapone si moltiplicava in mille bolle, ma non potevi star lì ad attardarti in quel gioco multicolore, altrimenti eri fuori: troppo piccolo per quel lavoro, e ti toccava tornare al tavolo dove si dividevano tappi e capsule.

I pomodori erano maestosi, frutti San Marzano di un rosso vivo senza eguali, allungati nelle cassette attendevano di rinascere sotto forma di pelati e passata, ma tanti finivano subito sul piatto, odorosi, spaccati in due con un pizzico di sale, o su una fetta di pane, o ancora strofinati generosamente sulla fresina che sembrava essere nata solo per quello. Gli altri ancora interi nell’acqua, in enormi bacinelle azzurre, gareggiavano per stare a galla lucidi, leggeri, bellissimi.

Com’è bello ricordare, la gioia torna intonsa da quel luogo, da quel momento, e riporta con sé un intero mondo. Quello stesso mondo che pensiamo di perdere col tempo ma che invece rimane custodito nel profondo, deep inside, dove niente e nessuno lo può alterare.